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Sandra Pinto

Il pittore  spagnolo  Luis Serrano: «Bedding» a Roma

Alias – Il Manifesto, domenica 21 ottobre 2012

 

 

Essere pittore, dipingere quadri, scegliere soggetti nell'ambito del reale e transustanziarli figurativamente per via di pensiero, di linguaggio, di stile, di tecnica, oggi 2012 d.C, a Roma e in Europa, cosa vuol dire per la Storia dell'arte? Una risposta, più che adeguata direi impeccabile per equilibrio e matter- of-factness, è quella data da Luis Serrano nella personale bedding al Museo Praz (aperta fino al 4 novembre) e nel catalogo che la documenta con testi critici di non comune peso, eleganza e perspicuità dovuti a Elena di Majo e a Marco Vallora, preceduti dall'introduzione colta e puntuale della curatrice intema Chiara Stefani, ma anche con la testimonianza verbale davvero di altissimo tenore del pittore stesso in dialogo con Di Majo. E un sollievo raro di questi tempi trovare qualcosa di così ricco di senso come questa piccola, preziosa iniziativa, tanto più considerandola inserita nella Vili Giornata del Contemporaneo dei musei romani cui l'esposizione del Praz conferisce una patente di qualità tutt'altro che scontata per ciò che attiene al presente.

La mostra. Costruita con dieci quadri di formato medio e medio-grande su una duplice connessione tematica tra la collezione Praz in due dei connotati più evidenti della sua fisionomia (uno, il quadro d'interni-stanza da letto, due, il lètto oggetto di arredo in ostensione museale con i suoi apparati di cortine, coperte, cuscini) e il capitolo più recente dell'attività di Serrano, una serie di pitture di letti disfatti entro stanze di cui costituiscono l'unico arredo o quasi.

Niente, ma proprio niente, accomuna bedding (dizione più sofisticata della usuale bedclothes: lenzuola, coperte, cuscini) alle troppe mostre tematiche in giro senza una motivazione meno che sciocca, e più in generale alle tante forme di intrattenimento «culturale», detto così per autodefinizione da parte piuttosto di chi intrattiene senza istruire

che di chi viene intrattenuto senza istruirsi.

La diversità della mostra al Museo Praz rispetto ai modelli correnti ha due ragioni apparentemente antitetiche.

La prima, e ovvia, è che si tratta di tematicità basata su un confronto «per differenza» di tempo, di luogo, di connotazione culturale o estetica, e di tant'altro. E malgrado ciò le due diverse sembianze si confrontano alla pari, l'una e l'altra nel proprio ordine di intenzioni e di valori.

La seconda è dovuta allo sprigionarsi dal tema di modi di sentire espressi dagli oggetti rappresentati in quanto metaforici, e di atmosfere che, per effetto anche delle lenti usate dai curatori, e dei loro coinvolgenti repertori letterari e figurativi di assonanze e dissonanze col tema, suscitano a sorpresa recondite affinità tra il Praz de La morte, la carne, il diavolo e il Serrano di bedding.

Si tratta - si capisce ed è ciò che conta- di assonanze e dissonanze su registri sofisticati da dedurre entro una fenomenologia della storia, non di qualcosa di proposto come uno dei tanti giochi di società praticati in musei del duemila.

Ma è nelle risposte in catalogo date dall'artista alla incalzante somma di quesiti di Elena di Majo (la somma dà «Chi sei?») che vorrei provarmi a calcolare qui il «totale» del valore della pittura e del modello di civiltà e di libertà cui si è consacrato Luis Serrano.

Pittore nato, anche se per scoprire di essere quello e non altro gli ci vorrà tempo: «una lunga maturazione», circostanze familiari che nella «lentezza delle ore» e nella «noia» favoriscono «l'osservazione prolungata di cose ancheminime». Tutti fattori che influiscono in modo determinante sulla sua percezione della realtà e conseguente sviluppo della personalità. Prima che il talento «sbocci» esiste purtuttavia qualche sintomo: lui lo descrive come «una vaga attenzione per il mondo delle forme», «un certo atteggiamento sognante». Quindi Accademia di Madrid, «centro ancora abbastanza esigente e rigoroso», tesi in storia dell'arte, nell'intervista non specificato il tema 'Settecento antiquario a Roma autour de Pannini', borsa di studio all'estero per il dottorato, scelta come prova: l'Italia, Roma; Corrado Maltese come tutor alla Sapienza. All'incertezza di una decisione definitiva a favore dell'arte come unica vocazione e professione si aggiunge un turbamento relativo all'ambiente italiano contemporaneo, destinato a permanere: «Il contrasto tra l'immagine codificata e imparata e la realtà osservata coi miei occhi fu forte e diede avvio a un esercizio di analisi e di confronto che non si è mai interrotto». La profondità, la serietà, la saggezza sottese a questa, come ad altre, riflessioni odierne, ci dicono di un ventennio di meditazioni, e di dubbi, di accettazioni e di riserve, per risolvere esistenza e professione artistica in via definitiva, ma non forzata da tempi, luoghi e circostanze quando ancora non probanti.

Così oggi può ricordare serenamente di aver avuto la sua «vera iniziazione» artistica già in patria praticando lo studio di Eduardo Peña in Plaza Mayor per due anni prima di entrare in Accademia e imparandovi che «il dialogo, lo scambio, tra artisti che vedono l'opera per così dire dal suo intemo ha caratteristiche specifiche ed è insostituibile» «purché si tratti di artisti con cui si condivide gusti, cultura visiva, stile». Si è infatti reso conto di avere una vera e pròpria allergia per il mondo artìstico corporativizzato in formule e mode competitive, originalità garantita da «marchi» di esclusiva; e una volta in Italia trova invece fondamentale l'amicizia con diversi storici dell'arte.

Se i primi quesiti sono rivolti alla conoscenza biografica, cui Serrano risponde con lo scrupolo di una autoanalisi serissima, i successivi si muòvono all'interno dell'opera, dei suoi processi, e del suo rapporto con l'arte del passato e del presente. A domande apparentemente semplici ma che il suo pensiero allarga come cerchi nell'acqua, le risposte sono, almeno così le giudico, fonti primarie del nostro tempo tra le più degne e più utili per la storia presente e futura della letteratura artìstica italiana ed europea. Piacerebbe poterne censire, di fonti analoghe, un numero sufficiente (ma a me non ne risultano, in cinquant'anni di osservatorio almeno italiano, molte altre) per un processo selettivo più controllato dell'arte del periodo sopraddetto, che ne asseveri il canone così come faccia giustizia dei numeri di massa delle nomenclature di puro successo e di pura moda a tempo determinato.

In principium dunque «fare quadri», indirizzandosi alla figurazione per meglio ancorare la pittura al principio di realtà e con una «neutralità formale» per non generare confusione sulla sua non adesione al sistema. Ammette di non essere riuscito a liberarsi del tutto dei complessi derivati «dal falso e facile scontro tra figurativo e modernità», di soffrire l'erroneo inquadramento in ambiti estranei - tra questi l'iperrealismo e il fotorealismo - pena l'essere «privato di una condizione di contemporaneità» che invece rivendica. In altre parole se l'iperrealismo è realismo sopra le righe, e fondamentalmente contenutistico, un quadro di Serrano è realismo, in quanto è prima di tutto pittura e forma neutrale.

Sugli stimoli figurativi di cui gli viene chiesto, è da citazione antologica l'affermazione: «Purtroppo ci sono molte cose che non possono essere dette in pittura... Bisogna saperlo accettare», o l'altra: «si è anche coscienti della saturazione d'immagini intomo a noi e quindi dell'esigenza di…tentare di evitare l'inutile». Quindi gli stimoli devono attendere le buone occasioni; per i letti disfatti è il letto di Delacroix (nel museo omonimo a Parigi) in cui si nasconde il bacio femminile delle pieghe gualcite di un cuscino, posato sul naso maschile di un risvolto di lenzuolo che a sua volta bacia il mento dell'amante. Ma per Serrano deve avere avuto più peso il barocco romantico dei panneggi e il sentore di abitato in transfert pittorico che non il doppio senso simbolico «tra le pieghe». Fuori intervista possiamo aggiungere che anche altri soggetti, generi, serie, provengono dalla storia dell'arte, come i «floreros», dalla tradizione spagnola, e i grappoli d'uva, dalla pittura illusionistica tramandata dall'antico; altri a loro volta nascono dall'urgenza del vero, con aggiunte d'invenzione: sono paesaggi, con alberi protagonisti stagliati contro l'orizzonte e, o, con pecore al pascolo immerse nei giochi di luce di fine giornata, o sono ritratti (sola testa o figura intera in intemo) da cui si è indotti a penetrare nel silenzio che la pittura miracolosamente rappresenta. In passato altri soggetti (come guantoni e calzature sportive) accennavano toni metafisici, più tardi maturati, esempio gli straordinari pomi che Elena di Majo ha registrato felicemente come pianeti sospesi nel vuoto universale.

Due domande della sequenza finale: una sugli artisti di ogni tempo che lo hanno attratto di più, e sul rapportocon le radici spagnole - definito forte, di realtà fondamentalmente condivisa, e di «fondale» della sua formazione artistica -, l'altra su come vede il suo rapporto col «sistema», sono ancora una volta da tenere in serbo per il futuro come patrimonio intellettuale e morale, espresso con una chiarezza di visione e una raffinatezza di toni, da rappresentare davvero una lezione per chiunque.

I suoi maestri, coloro con i quali vorrebbe accompagnarsi in paradiso, sono tanti: grandi nomi (purtroppo, aggiunge, usurati dalla divulgazione) e artisti minori che invece rappresentano un riferimento importante, se non perfino un'identità gemellare di cui andare orgoglioso. Ci si muove dalla pittura parietale di Roma e di Pompei lungo tutta la storia dell'arte fino ad oggi. Non è un panorama onnicomprensivo e definitivo, ma una scelta vissuta come obbligazione morale così come è d'obbligo l'aggiornamento delle preferenze, per tenere in allenamento lo spirito della ricerca. La ratio della registrazione è ancora una volta la pittura: se i maestri spagnoli, napoletani e genovesi del Seicento sono in elenco, è certo la preparazione scura e bituminosa di un colore sontuoso a sfidarlo; Holbein (come Ingres) comanda la linea disegnativa (il talento e l'Accademia hanno fatto di Serrano anche un magnifico disegnatore), e via proseguendo per ogni altra scelta si trova facilmente la ragione sub specie di lezione di pittura. Nella storia recente ad esempio il classicismo di Antonio Lopez emerge tra i riferimenti più ampiamente condivisi assieme a certo pop anglo-americano (Larry Rivers, Kitaj, Hockney). L'urgente confronto col presente lo induce a scelte decise in favore della traccia più sofisticata del figurativismo mondiale: un esempio, tra i vari citati, Justin Mortimer nel suo fasto conturbante.

Infine domanda e risposta cruciali che profilano il difficile quadro generale entro cui si organizza, male, il «sistema» globale dell'arte d'oggi. Serrano afferma di accettare che esso «sia il confuso campo di battaglia in cui bisogna muoversi». Ma dalla posizione marginale che occupa, scelta o imposta che sia dalla situazione, vede l'inutilità sia del piangersi .addosso sia di un combattimento aU'infinito contro i mulini a vento delle contraddizioni, e dei peccati, del sistema. Crede, «tuttavia, di aver imparato a cogliere e ad apprezzare il grado di indipendenza che talvolta può derivare da una posizione defilata».

L'esposizione nel Museo Praz gli dà ragione e la conclusione dell'intervista in catalogo traduce la coerenza e la fierezza tutta spagnola del pittore in manifesto: che gli storici e i colleghi artisti europei non farebbero male a sottoscrivere.

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