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Martina Adami

Intervista agli artisti della mostra “Trialogo”: Luis Serrano

comparso in Blog Galleria L’Opera, 2013

 

 

 

Luis Serrano è uno degli artisti di “Piano creativo” spazio polifunzionale situato in una scuola romana a Circonvallazione Gianicolense e luogo d’incontro/crocevia tra artisti di diversa provenienza. Fiore all’occhiello e segno distintivo del suo studio, oltre le grandi vetrate da cui entra una splendida luce, è la collezione di fotografie presentata sulle pareti: una serie di ritratti di personalità di riferimento cui l’artista è particolarmente affezionato: ballerini (l’étoile Ivan Vasiliev) e scenografi, scrittori e cantanti (Morrissey), musicisti e coreografi (John Cage e Merce Cunningham), e naturalmente pittori (David Hockney).

 

Sei stato uno dei primi artisti a insediarsi in quest’edificio nel 2009, ora invece siete parecchi.

Prima di me c’era Silvia Codignola, è stata lei a suggerirmi la possibilità di trovare uno studio qui. Nonostante la diversità di stile o il ricambio frequente, il gruppo di artisti che lavora in questi spazi compone una sorta di amichevole comunità. Io mi reco in studio la mattina presto e passo li la mia giornata, svolgendo il mio lavoro assai metodicamente.

Partiamo dalla tua formazione. Tu sei spagnolo, madrileno. Potresti raccontare meglio il percorso che ti ha portato fino a Roma?

Ho fatto l’Accademia a Madrid, la mia città, nel momento in cui si trasformava in Facoltà universitaria di Belle Arti, cogliendo quindi aspetti vecchi e nuovi dell’insegnamento artistico. Al termine degli studi ho vinto una borsa per venire in Italia. Ho frequentato dei corsi alla Sapienza mentre svolgevo ricerche per il mio dottorato in Storia dell’Arte sotto la guida di Corrado Maltese e Elisa Debenedetti.

Tu sei prima di tutto un pittore, come pure gli altri artisti in mostra a Trialogo. Come ti sei rapportato alla proposta di Edoardo Sassi di realizzare dei lavori extra pittorici?

La mia partecipazione a questa mostra nasce dal rapporto di amicizia che mi lega ad Andrea Iezzi e agli altri.

Ho raccolto la proposta di Edoardo Sassi come una sfida faticosa. Per la prova richiesta ho preferito scartare tecniche i cui risultati fossero troppo vicini al linguaggio della pittura, sentendoli poco affini a me. Ho fatto, al contrario, una scelta apertamente povera (una scultura in cartone grezzo, un finto arazzo fatto di cenci), assumendone come dato intrinseco la loro imperfezione, scegliendo di lavorare sul terreno delle pure variazioni formali, senza cercare altri messaggi.

Come hai scelto il tema su cui lavorare per le opere in mostra?

Il vecchio sofà sventrato, pretesto tematico di tutti i lavori presentati in mostra, si trova in una soffitta della mia casa di campagna in Spagna. La sua immagine di ‘cosa decomposta’ ma ancora formalmente possente mi interessava da tempo e ho trovato ora l’occasione per trasformarla in qualcosa di artisticamente compiuto. Pur trattandosi di poetiche diverse, penso che esista un filo conduttore tra quest’opera e i quadri con stanze e letti disfatti presentati nella mia precedente mostra romana al Museo Praz nel 2012.

Che valore attribuisci a questo divano?

Penso che l’immagine abbia una sua evidente potenza formale. Entrano in gioco elementi come caducità, memoria, trascorrere del tempo. Ma la componente nostalgica m’interessa solo relativamente. Credo piuttosto che ci siano oggetti che per la loro stessa forma o per il modo ‘fisico’ in cui appaiono, hanno la forza di concentrare, di riassumere molti possibili significati, di acquistare subito una valenza simbolica. In quest’opera la massa scura del divano – un paesaggio roccioso, un altare, un cetaceo insabbiato, una macchinaria ferma – e il quadrato bianco e vuoto in cui simmetricamente questa forma si inscrive mi sembrano importanti quanto i sentimenti cui mi riferivo prima.

Credo che una volta visto il divano possa nascere la curiosità, come è avvenuto in me, di cercare di capire l’epoca di appartenenza. Tu sai a che stile appartiene?

Penso che si trovi in casa dalla fine dell’Ottocento. Ma l’ho visto sempre in una soffitta, non l’ho mai usato e non ho ricordi direttamente legati a tale oggetto se non la prolungata osservazione.

Dove si trova precisamente questa casa di famiglia di cui parli?

La casa si trova in un piccolissimo paese de La Mancha, regione pianeggiante, arida e vuota a sud di Madrid. Un paesaggio povero ed essenziale ma dotato di una sua bellezza semplice, assoluta.

Torniamo ai lavori presenti nella mostra Trialogo. Oltre al grande olio su tela, hai realizzato altre due opere che insistono sullo stesso tema. Come motivi la tua scelta?

Credo che alcuni dei miei lavori, compreso il divano, possano avere un’impostazione quasi concettuale. Nel senso che scaturiscono da una selezione drastica che tende a concentrare in un solo elemento, spoglio, oggettivo, una serie di significati. Intervengono poi componenti formali o strettamente pittoriche. Rispetto alle opere in mostra è ovvio che mi sono sentito molto più a mio agio realizzando il dipinto ad olio o il disegno a carboncino rispetto agli altri due lavori.

Passiamo a guardare insieme anche alcuni dei lavori della serie “Bedding”.

Scegliendo questo tema volevo evocare una vita provvisoria, di passaggio, magari modesta ma aperta, leggera, avventurosa,. Le stanze e i letti dei giovani fuori sede, spoglie e sensuali. Avrei voluto descriverle a scala reale ma in quell’occasione non era stato possibile; ho scelto quindi di farlo con il progetto del divano e ne sono contento.

Ci sono dei soggetti che prediligi, con cui ti senti più a tuo agio, c’è una ricerca che consapevolmente stai seguendo?

Cambio soggetto molto spesso. Un filo conduttore a livello formale mi sembra però evidente. Così come una certa (personale) visione del mondo (fatta per sommatoria o per aggiunte successive). La rivisitazione dei generi tradizionali, anche quando non costituisce l’obiettivo del mio operare, è diventata alla fine una sorta di guida e una possibile chiave di lettura del mio lavoro.

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