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Giovanna Capitelli

Arboledas

Walltext, mostra Luis Serrano. Arboledas, (Roma, Galleria M.A.D., 1 dicembre 2011 – 14 gennaio 2012)

 

 

Arboledas, in italiano ‘boschetti’ è il titolo che Luis Serrano ha voluto attribuire (“perché suona e si legge bene e fa sempre esotico…”) alla selezione di dipinti e disegni esposta negli spazi della Galleria M.A.D.: un piccolo gruppo di opere realizzate a Roma, a Capalbio e in Spagna, tra la primavera del 2009 e qualche giorno fa. Nell’applicare il diminutivo al titolo di questa mostra, Serrano scopre le sue carte. Il termine Arboledas definisce sì con precisione i luoghi ritratti, angoli di paesaggio occupati da alberi e arbusti, ma reisponde anche – con quel senso di propietà che il diminutivo riesce a trasmettere senza tracimare nell’affettuosità propria del vezzeggiativo – all’urgenza di trasferire in un’unica parola il legato sentimentale di cui questi magnifici lavori sono carichi, giacché le tele e le carte qui raccolte ci conducono dritte al centro del mo9ndo dell’artista, al suo modo onesto, pudico e nobile di restituire frammenti di realtà attraverso la pittura.

Pure cedendo alla fascinazione di un vocabolario storico – quello messo a punto tra Sette e Ottocento dai così detti ‘pittori del paesaggio della ragione’ (e, a partire dagli amati Giovanni Battista Lusieri e Thomas Jones, se ne potrebbe redigere una lunga lista) – i boschetti della serie esposta rivelano un’indiscutibile freschezza. Articolati secondo una metrica classica, che ricerca nella natura simmetrie e binomi, organizzazione e armonia, questi lavori non vanno tuttavia intesi come una semplice evoluzione contemporanea di ciò che un tempo si sarebbe definito paesaggio di composizione, ossia il terreno di prova in cui si misuravano gli artisti accademici specialisti nella rappresentazione di spazi naturali e architettonici di sovente aiutati dalla ‘camera lucida’. I brani di paesaggio disegnano piuttosto una mappa puntuale, ancorché rarefatta e trasfigurata, dei luoghi frequentati dal pittore; essi restituiscono le tracce di un dialogo che questi coltiva con una natura particolare, privata, fatta propria sia “nei luoghi visti mille volte, impregnati di ricordi” come nell’Arboleda del Pozo Torrijos, nelle Due Querce a Grutti, e nello Iazzo Acito della murgia di Matera, sia in quelli apparentemente più estranei ai tracciati della sua quotidianetà, ma di certo introiettati attraverso il filtro della storia dell’arte, come nel nordico Boschetto in montagna, “frutto di qualche giorno trascorso nelle Asturie”.

Nelle tre tele, il corpo a corpo con il naturale si fa meno evidente. In pittura Serrano gode nel fare risaltare la monumentalità delle forme, siano esse quelle di alberi dalle grandi chiome, di vasti campi coltivati o di ampie quinte arboree. Così alle piccole comunità vegetali variopinte che sono oggetto dei disegni fa da controcanto negli oli e nelle tempere la scala maggiore e l’isolamento delle componenti principali in un cielo tanto terso da apparire irreale.

Nel primo dipinto, i pini di Capalbio punteggiano ritmicamente “la piccola strada che corre tra il lago di Burano e la ferrovia e permette di osservare un paesaggio miracolosamente vuoto e scenograficamente ricco (mare, profilo azzurro dell’Argentario in lontananza, pini, enormi oleandri…)”. Nel secondo, sono gli alti cipressi di Pomarico a conquistare la scena, percepiti dall’artista come vedette della meta e del commiato nelle amate gite materane. Nel terzo, la parte di padroni di casa di “un paesaggio di bonifica, con i suoi elementi costruttivi e l’idea sottesa di una felicità rustica, oprdinata ee possibile” è svolta da due pini invasi dalle edere, alberi eleganti quanto comuni nel versante marino del Lazio e della Toscana.

Con questi lavori, lo spagnolo romanizzato Luis Serrano, pittore colto e saggio, ci propone tanti spicchi di realtà che si fanno artificio grazie alla sua magistrale padronanza delle tecniche del disegno e al rigore delle sue inquadrature, assicurandoci uno sguardo nuovo su molti luoghi epitome del paesaggio italiano.

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